Terzo articolo della serie #seiodicotudici sviluppata in collaborazione con GiPI – Giovani Pakistani in Italia.
Dilfraz Afzal, nato in Pakistan e cresciuto in Italia, ci racconta la sua esperienza e ci accompagna in un viaggio nella scuola pakistana: un viaggio che dimostra ancora una volta l’importanza fondamentale di TCF nell’emancipazione dell’educazione in Pakistan.
Elementi salienti dell’approccio di TCF alla didattica
Dalla sua fondazione nel 1995 TCF lavora per risolvere i problemi del sistema – istruzione in Pakistan. TCF adotta un modello che rende il sistema di scuole private reso necessario dalla scarsità, quantitativa e qualitativa, delle scuole pubbliche pakistane, sostenibile anche per le famiglie delle comunità più disagiate del Pakistan, quelle degli slum e delle zone rurali.
Un modello che The Economist ha definito “la più frenetica riforma educativa al mondo”.
TCF lavora inoltre per il miglioramento della qualità di vita delle comunità stesse, con progetti quali il programma di alfabetizzazione per adulti Aagahi e la costruzione di impianti di potabilizzazione dell’acqua là dove l’acqua potabile non esiste.
TCF travalica l’uso della lingua inglese per l’insegnamento riportando l’attenzione alla lingua madre, l’uso della quale aumenta sensibilmente l’efficacia dell’insegnamento stesso.
Ultimo ma non ultimo, TCF in tutta la sua esistenza ha promosso il benessere fisico e psicologico degli studenti come valore intrinseco dell’educazione, escludendo tout court la pratica delle punizioni corporali, pratica che troviamo citata nel racconto di Dilfraz e di cui si è vista la completa scomparsa nei territori del Regno Unito solo nel 2003 (dal 1986 per le scuole statali).
Il sistema scolastico in Pakistan e la mia esperienza
Ancora oggi, a distanza di quasi 75 anni dall’Indipendenza, la scuola in Pakistan continua a seguire il modello inglese.
Il modello scolastico inglese adottato in Pakistan
Generalmente il modello inglese continua a essere ritenuto il modello base. Dalla Nursery fino al Postgraduate tutto è in linea con questo modello.
La Primary School copre i primi cinque anni di scuola, dopo ci sono la Middle School e la Secondary school.
Ci sono poi i College prestigiosi che seguono in maniera più rigida il modello ingelse, tipo lo Aitchison College, oppure il sistema scolastico che segue il Cambridge International.
Questo, in aggiunta alle sempre crescenti differenze socioeconomiche, comporta che ci sia un forte contrasto tra coloro che vanno nelle scuole pubbliche e coloro che vanno nelle scuole private.
Mi ricordo che quando andavo io a scuola in Pakistan la differenza era evidente.
Era il 1999.
Avevo cinque anni e assieme a mia sorella maggiore, più grande di me di due anni, andavo alla scuola privata più vicina del villaggio.
Tra tutti i ragazzi del villaggio, solo noi e i nostri cugini eravamo iscritti nella scuola privata: gli altri miei amici andavano in una scuola pubblica chiamata da tutti “Dara”, versione abbreviata di idara, che significa istituto.
Le uniformi
Nella mia scuola gli studenti erano suddivisi approssimativamente per fascia d’età.
Era obbligatorio indossare un’uniforme composta da tre capi di abbigliamento.
L’uniforme dei maschi consisteva in pantaloni grigi, camicia blu e giacca grigia; quella delle femmine in “shalwar” – pantaloni – bianchi, un “kameez” blu scuro e un “dupatta”, un velo, di colore bianco.
Ogni mattina tutte le classi si riunivano nel cortile interno della scuola e alle 8.05 si iniziava la giornata cantando l’inno nazionale, Pāk Sarzamīn (La terra sacra).
Il corpo docenti era composto principalmente da donne e mi ricordo che la più temuta da noi studenti era la signorina Asia, una giovane insegnante molto severa.
Asia amministrava la nostra classe e si occupava di quasi tutte le materie. Quasi tutti i giorni, alcuni studenti venivano bacchettati per non aver svolto i compiti o per aver fatto alcuni errori.
Era il 1999, come dicevo: solo nel 2020 ogni forma di violenza è diventata illegale, e solo nel distretto di Islamabad.
Mi ricordo però di non essere mai stato percosso o ripreso dalle mie insegnanti. I miei zii mi facevano studiare sui libri di mia sorella che era all’epoca in terza. Per questo la mia insegnante, dopo aver discusso con la preside, mi permise di frequentare direttamente la seconda classe e poi fare il salto dalla terza alla quarta.
Tablet…
La situazione era più difficile e diversa per gli studenti che andavano nei “Dara”. Non ho mai partecipato a una lezione in una Dara, ma, parlando con i miei amici del villaggio, sapevo come andavano le cose. Gli studenti avevano una divisa color kaki nella foggia dell’abbigliamento tradizionale pakistano, quindi con “shalwar” e “kameez”. Nel Dara del nostro villaggio un signore anziano con una lunga barba teneva seduti per terra circa 30 studenti, e insegnava a loro come scrivere.
Invece che scrivere sui quaderni, che erano costosi, gli studenti usavano il takhti, una tavoletta di legno sulla quale veniva cosparso del gesso bianco. Gli studenti scrivevano con una canna di bambù impregnata in un inchiostro blu.
La tavoletta veniva poi lavata e ricoperta di nuovo dal gesso, pronta per essere riutilizzata.
Nei Dara gli insegnanti erano più violenti e le punizioni corporali per gli studenti erano all’ordine del giorno.
La maggior parte degli studenti dei Dara erano da famiglie meno abbienti, che, non potevano permettersi i costi di una scuola privata.
Spesso questi studenti non avevano alcun supporto formativo da parte delle famiglie, perché i loro stessi genitori non avevano ricevuto una adeguata istruzione.
Non era raro che, dopo essere stato bocciato per due o tre volte, lo studente finisse per abbandonare la scuola, magari per aiutare la propria famiglia nel lavoro.
Nel mio villaggio molti dei miei amici che andavano nel Dara dovevano aiutare la famiglia nell’arare i campi e badare agli animali. Altri lasciavano il villaggio per la città più vicina, dove imparare un mestiere.
Con i miei compagni della scuola privata invece non avevo legato, anche perché nei tre anni che vi ho trascorso ho cambiato classe due volte.
Ci sono tornato poi due volte per salutare la preside, a distanza di cinque e dieci anni dopo aver lasciato la scuola, scoprendo che poco era cambiato e che Miss Asia continuava a insegnare.
L’Italia
Avevo lasciato la scuola nel 2002, quando mi trasferii con la mia famiglia in Italia.
Avevo otto anni. La prima volta che ho messo piede a scuola ero molto agitato: scuola, lingua, paese… tutto era nuovo per me.
E la mia scuola elementare italiana era molto diversa da quella che avevo lasciato in Pakistan, molto migliore sotto tutti i punti di vista.
Le classi erano pulite, c’erano giardini e cortili nei quali poter giocare, c’era la mensa e, soprattutto, le insegnanti non usavano la violenza.
Per me non fu difficile ambientarmi, ma non legai subito con gli altri bambini.
Oltre alla lingua, che per me comunque non fu mai un problema, non riuscivo ad avere quella franchezza che avevo avuto con i compagni pakistani.
La differenza che mi colpiva di più era che, a differenza degli studenti pakistani, i bambini non dovevano anche lavorare.
Nella scuola elementare prima e media poi ho sempre cercato di avere un atteggiamento aperto, che mi permettesse di fare amicizia con i miei compagni, ma il mio contesto familiare e soprattutto economico era molto diverso dal loro.
Per esempio, fui costretto a rinunciare a molte gite scolastiche che o erano troppo costose per me, o mi avrebbero tenuto troppo tempo lontano da casa, così da far preoccupare i miei genitori.
Oggi, a distanza di quasi 20 anni, ripenso ancora spesso alla mia infanzia e al mio lungo percorso di integrazione.
Quando la mia famiglia lasciò il nostro paese non volevo neanche venire in Italia, ma oggi sono felice di come sono andate le cose e penso a tutte le occasioni perdute dagli amici del mio villaggio che non hanno goduto di un ambiente sano e adeguato per istruirsi e migliorarsi.
Sono cosciente del fatto che simili situazioni esistano anche in Italia, ma il contrasto con il Pakistan è stridente.
È essere parte di questa “doppia cultura” che mi ha permesso di osservare i forti contrasti tra il sistema educativo pakistano e quello italiano.
Questa duplicità è ciò che mi ha aiutato a integrarmi e a risolvere, tante problematiche che oggi molti ragazzi pakistani in Italia di seconda generazione stanno affrontando.
Dilfraz Afzal
Dilfraz Afzal è il presidente dei Giovani Pakistani in Italia che si è trasferito in Italia nel 2002, ove è rimasto fino al 2017 per poi trasferirsi in Inghilterra dove ha conseguito la laurea in giurisprudenza.
Visita il sito di Giovani Pakistani in Italia.
Per scoprire di più del modello TCF, volto a fornire un’istruzione di qualità e livello internazionali per le giovani e i giovani delle zone più svantaggiate del Pakistan, visita le pagine dedicate al Programma Educativo e ai Programmi Comunitari su questo stesso sito.