Ci avete mai fatto caso che nelle biblioteche primeggiano i libri scritti da uomini? Certo, si tratta di libri scritti da intelletti d’eccellenza, ma la grande Letteratura è stata “fatta” dagli uomini più che dalle donne. Ma solo perché per molto tempo i loro scritti non hanno avuto visibilità.
Fino al ’700 la scrittura femminile era quasi inesistente. Certo, le donne scrivevano, ma chiuse nella loro stanza, conservando pagine di pensieri nei cassetti. Dovremo aspettare il 1926 per vedere una donna italiana, Grazia Deledda, vincere il Nobel per la letteratura.
Eppure, se in Italia ci sono stati passi avanti, in molti altri paesi le donne subiscono ancora gravi discriminazioni sociali e culturali. L’esclusione delle bambine dal sistema scolastico non è soltanto la negazione di un diritto, ma rappresenta una sconfitta per il futuro.
Nonostante l’incremento del tasso di alfabetizzazione negli ultimi 50 anni, ci sono ancora nel mondo 773 milioni di adulti analfabeti, la maggior parte donne. Secondo il Ministero dell’Istruzione, in Pakistan solo il 62,3% della popolazione è alfabetizzato. Su una popolazione totale di 230 milioni, circa 60 milioni di adulti sono analfabeti. Milioni di bambini non ricevono alcuna forma di istruzione. Il tasso di alfabetizzazione è ancora più basso nei villaggi e nelle aree tribali; a essere più colpite sono sempre le donne: i genitori preferiscono mandare solo il figlio maschio a scuola.
Ma le donne delle aree rurali che, grazie a ONG come TCF, The Circle, Behbud RLCC e altre ancora, imparano a leggere, scrivere, usare il computer e ricamare, trovano una via per integrarsi nella società.
Tuttavia, gli ostacoli da superare sono molti, ad esempio la diffidenza della comunità maschile che le spinge a continuare a occuparsi della casa e dei figli piccoli. Se alcune si scoraggiano, quelle che resistono raggiungono un grande traguardo, visibile non solo nell’espressione di orgoglio e soddisfazione nei loro volti, ma anche nel modo in cui usano la propria voce, forte e decisa.
Il nostro progetto è nato dall’aver scoperto “Aagahi”, il programma di alfabetizzazione per le donne adulte di TCF.
Dopo ricerche estensive, abbiamo sviluppato un progetto fotografico che esplora la condizione delle donne in Pakistan e la loro volontà di emancipazione, perseguita ogni giorno attraverso l’istruzione, lo sport e l’indipendenza economica. Il Pakistan è classificato al 142º posto su 146 paesi nel Global Gender Gap Index pubblicato dal World Economic Forum nel 2023. Le donne hanno accesso a opportunità economiche minime.
Con questa presa di coscienza siamo atterrati a Karachi il 9 aprile e abbiamo girato il paese, passando per il Sindh interno, fino a Lahore, Islamabad e le montagne del Karakorum, dove nella valle di Hunza c’è il tasso maggiore di alfabetizzazione femminile.
Abbiamo incontrato e intervistato quaranta donne provenienti da diversi contesti sociali e culturali, per ottenere una panoramica ampia sulla loro percezione della condizione femminile nella società; queste sono le loro storie.
La calda accoglienza del Pakistan ci ha avvolti sin dall’inizio del viaggio, iniziato il 9 aprile a Karachi, durante le celebrazioni dell’Eid.
In una delle prime tappe, abbiamo incontrato Amneh, una figura straordinaria, che ci ha parlato del suo impegno nel supportare le artigiane locali attraverso l’ONG in cui lavora: Polly and other Stories. Il suo lavoro non solo promuove l’indipendenza economica, ma crea anche una rete di solidarietà tra donne che condividono esperienze e saperi. Questo incontro ha aperto le porte a ulteriori esperienze con organizzazioni operanti nell’artigianato come RLCC, dedicata all’autodeterminazione femminile.
A Karachi abbiamo visitato Lyari, un quartiere che è stato martoriato da una guerra interna durata dieci anni, ma che ora risuona di speranza grazie a persone come i fratelli Parveen e Faheem. Parveen, attivista per i diritti umani, ci ha raccontato la sua battaglia per l’emancipazione femminile e l’indipendenza del Balochistan. La sua passione e il suo coraggio stanno contribuendo a trasformare Lyari. Faheem, film-maker e fondatore del Mehrdar – un centro multiculturale nel cuore del quartiere – ha creato spazi dove l’arte offre alle giovani donne opportunità di crescita e autodeterminazione.
Sempre a Lyari, lo sport emerge come un potente strumento di empowerment. Le sorelle Summaiya e Gohar Taj, pugili di Lyari, sfidano ogni giorno le norme patriarcali, dimostrando come la boxe possa affermare la propria forza e autonomia. Il ginnasta Barkat ha creato uno spazio dove le ragazze possono allenarsi, superando ostacoli e stereotipi di genere.
L’incontro con Aradhiya, una giovane attivista transgender, ha aggiunto un punto di vista interessante al nostro reportage. Aradhiya lavora per la Gender Interactive Alliance Pakistan e ci ha parlato delle discriminazioni quotidiane che la comunità transgender affronta in Pakistan. Racconta che le donne transgender si trovano per la maggior parte ai marciapiedi delle strade e sono soggette a discriminazioni e violenze. La sua determinazione a lottare per la dignità e i diritti è un potente richiamo alla giustizia sociale.
L’ultimo giorno a Karachi inizia prima dell’alba, mentre la città dorme ancora. Ayesha, l’ideatrice di “That Crazy Cyclist”, guida il suo gruppo di cicliste attraverso le strade della città. Il progetto di Ayesha non è solo una promozione dell’uso della bicicletta come mezzo di trasporto, ma incoraggia anche le donne a rivendicare il loro spazio e normalizzare la loro presenza in bicicletta.
Il 22 aprile partiamo alla volta di Rahim Yar Khan, una piccola città nell’interno del Sindh, dove è obbligatoria la scorta della polizia locale. Incontriamo The Circle, un’associazione che si pone come obiettivo l’alfabetizzazione digitale delle donne dei villaggi rurali. Al Punjab Vocational Training Institute, assistiamo alla cerimonia dei diplomi di chi aveva terminato il corso. L’incontro con le ragazze dello slum di Rahim Yar Khan offre uno sguardo intimo sulle sfide e sulle speranze di giovani donne in una società conservatrice.
Dopo una breve sosta a Multan andiamo a Lahore, la capitale culturale del Pakistan.
Incontriamo Leena Ghani, una delle organizzatrici dell’“Aurat March” – la marcia delle donne – la quale ci racconta con fervore la lotta per i diritti delle donne in Pakistan, mentre artiste come Salima Hashmi e attiviste come Sadaffe Abid ci mostrano il potere dell’arte e dell’istruzione nel promuovere il cambiamento sociale. Lasciamo Lahore per andare a Islamabad, la capitale. Sebbene dall’alto si capisca quanto è offuscata dallo smog, Islamabad si rivela disorientante per noi, perché è diversa da tutte le altre città: strade pulite, traffico ordinato e semafori funzionanti, case impeccabili e un grande bosco che circonda la città. L’aria, nonostante l’inquinamento, è fresca e piacevole grazie alle montagne vicine.
Come prima cosa ci rechiamo al quartier generale di Behbud, un’organizzazione no-profit che dal 1967 supporta l’emancipazione delle donne attraverso il crafting e la formazione professionale. La presidente, Abida Malik, ci accoglie calorosamente e ci mostra l’edificio dove donne e uomini ricamano e tagliano tessuti colorati. Lì abbiamo intervistato Abida, che ci ha raccontato come l’indipendenza economica sia cruciale per l’emancipazione delle donne, permettendo loro di fare scelte autonome e guadagnare rispetto all’interno della famiglia e della società.
Il 3 maggio imbocchiamo la Karakoram Highway attraversando tutto il KPK, una regione famosa per essere una delle più conservative del Paese, dove la maggior parte delle donne non possono uscire di casa dopo i dodici anni. Dopo oltre 16 ore di viaggio arriviamo finalmente a Hoper Nagar, un villaggio a 3000 metri. A Hunza, la città più famosa della valle e a un’ora di macchina dal nostro villaggio, abbiamo incontrato Tabassum, giovane ragazza che si è trasferita lì per studiare e che ha trovato nello sci e nell’avventura la forza per autodeterminarsi. Le difficoltà, sia familiari sia comunitarie, che ha affrontato per arrivare sulle piste non sono state poche.
A Passu, il villaggio di provenienza di Tabassum, abbiamo poi conosciuto le sue compagne che giocano a calcio, tutte determinate a perseguire i loro sogni, soprattutto Nadia, che spera di entrare nella nazionale di calcio. Un incontro particolarmente illuminante è stato con il maestro Saleh, che ci ha spiegato come il leader spirituale della religione ismailita, l’Aga Khan, abbia promosso l’istruzione femminile e l’uguaglianza di genere. Saleh ha condiviso una frase significativa pronunciata dall’Aga Khan vent’anni fa: “Se dovete scegliere tra educare un figlio maschio o una figlia, scegliete sempre la figlia.”
Abbiamo anche incontrato Noorima, una giovane cantante diventata famosa grazie ai social media, che incoraggia le ragazze pakistane a mostrare il proprio talento nonostante i pregiudizi. La sua storia è un esempio potente di come i social media possano essere strumenti di empowerment. Il nostro viaggio ci ha poi portato a Gilgit, la capitale del Gilgit-Baltistan, e poi a Skardu, dove abbiamo incontrato Siddiqa, una giovane scalatrice che, ispirata dal nonno alpinista, sta cercando di diventare una delle prime donne a scalare il K2. La determinazione di Siddiqa e il supporto della sua famiglia sono un simbolo di cambiamento e speranza.
La mattina dell’11 maggio torniamo a Islamabad, dove lo stesso giorno incontriamo Zainab, un’insegnante di ballo che lotta contro i pregiudizi nei confronti di questa disciplina per insegnare il Kathak, una forma di danza tradizionale indiana. La danza e in particolare le danzatrici, ci racconta, sono considerate alla stregua delle donne di strada, tanto che nessuna organizzazione ha voluto concederle uno spazio dove poter insegnare alle sue alunne. Per questo Zainab ha trovato un rifugio per le sue alunne nel seminterrato di casa sua.
Il giorno seguente abbiamo appuntamento con Farza Bari, un’accademica femminista che, dopo essere stata in esilio negli USA ha introdotto il corso di gender studies nelle università pakistane. Ha condiviso con noi la sua visione storica del ruolo delle donne in Pakistan. Bari ha descritto un percorso di evoluzione lenta ma costante, iniziato durante la legge marziale degli anni ’60, che arriva fino ai giorni nostri.
Torniamo nel quartier generale di Behnud per visitare alcuni dei loro centri fuori città: a Rawalpindi abbiamo visitato un centro di formazione dove donne di tutte le età apprendono l’arte del ricamo. Siamo poi andati a Saidpur, un antico villaggio ai piedi delle colline di Islamabad, dove un centro di cucito fornisce alle donne locali non solo un’istruzione pratica, ma anche un luogo di incontro e supporto reciproco. A Gujar Khan, in una zona rurale dominata da capre e bufali, abbiamo trovato un altro centro di formazione di Behbud, dove oltre al ricamo, le donne imparano a utilizzare il computer, aprendosi così a nuove opportunità lavorative e di indipendenza economica. Le visite alle case di alcune ex allieve e delle loro famiglie ci hanno permesso di comprendere ancor di più la realtà che andavamo via via esplorando. In villaggi come Adhi Mastala e Kanyal Barjana, abbiamo ascoltato storie di emancipazione e di rispetto conquistato, come quella di Babra Noreen, che grazie alla sua indipendenza economica non soltanto mantiene la famiglia ma è diventata una figura di riferimento all’interno della sua comunità.
Il nostro viaggio in Pakistan è terminato il 14 maggio. È stata un’esperienza trasformativa, che ci ha permesso di vedere da vicino l’emancipazione femminile in un paese ricco di contraddizioni e speranze. Abbiamo incontrato donne incredibili, determinate a cambiare il loro destino e quello delle loro comunità: ci sentiamo onorati di aver potuto raccontare le loro storie.